Pubblicato su IlSudEst il 12 ottobre 2012.
Come dire: “state colando a picco: è vero, c’è la crisi economica: è vero anche questo, per non parlare di quella sociale.. ma non è colpa vostra. Voi per sessant’anni avete fatto il vostro dovere: mantenere la pace nel Vecchio Continente”. Secoli di storia europea non ricordavano un periodo di pace così lungo.. l’Unione è riuscita in un’impresa mai vista prima.. sessant’anni non sono pochi. Come smentirlo?
Basterebbe chiedere alle popolazioni dei balcani come hanno passato la fine del millennio. Se i bombardamenti della NATO sui civili, perpetrati a suon di missili e proiettili all’uranio rientrino delle motivazioni per l’assegnazione del premio. C’è da domandarsi perché l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) ignorò la verità sulla strage di Racak del 15 gennaio 1999 in Kosovo. A Racak, non ci fu nessun massacro di civili albanesi da parte delle forze militari serbe, i corpi mostrati alla stampa furono trasportati sul posto dai soldati albanesi, per gridare allo scandalo e giustificare la guerra umanitaria della NATO contro Slobodan Milošević. Perché gli osservatori dell’Unione Europea, presenti in loco non denunciarono l’accaduto? Perché l’OSCE stette in silenzio?
Un momento.. ma la NATO e l’UE non sono la stessa cosa. Non si può condannare la UE di crimini che non ha commesso. E poi si sa, nella NATO sono gli Stati Uniti a dettar legge, in più, se proprio la vogliamo dire tutta, non esistono neppure vere e proprie forze armate comandate dall’Unione Europea! Peccato però che alle operazioni militari parteciparono attivamente, rendendo disponibili basi aeree e armamenti, ben undici nazioni europee, nove delle quali appartenenti all’Unione, che a quel tempo era formata da quindici membri. Pensare poi che proprio Javier Solana, ex Segretario Generale del Consiglio dell’Unione Europea e attualmente Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune dell’Unione Europea, era uno dei comandanti insieme a Bill Clinton in persona dell’Operazione Allied Force.. proprio quella guerra umanitaria (24 marzo-10 giugno 1999) di cui parlavamo prima; che venne giustificata, agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, come legittima reazione ai crimini contro l’umanità perpetrati dall’esercito serbo.
Il premio Nobel le serve per risollevarsi il morale, dargli la spinta per fingere di credere ancora in se stessa, continuare a specchiarsi e vedersi lì in mezzo al planisfero, al centro di un mondo che gira sempre più veloce e la vede correrle dietro, annaspare, cadere, rialzarsi, riprovarci ancora, ma continuare a perdere l’equilibro. Soltanto sulla carta, che sia geografica o stampata dal Comitato norvegese per il Nobel, l’Europa è ancora al centro del mondo. Le missioni di pace poi, le porta avanti a modo suo e non è di certo Oslo ad insegnarci che sentire ridondare sui teleschermi di mezzo mondo la parola pace, deve far dubitare i telespettatori. Ce lo ha ricordato Orwell, e tutto sommato il comitato norvegese sembra non allontanarsi troppo dal Ministero della Verità di 1984, a cui era affidata l’informazione e la propaganda, e sul cui palazzo campeggiava la scritta: La guerra è pace.
Vorrei aggiungere, oltre ai fatti che hai citato concernenti i Kosovo e tutta l’area balcanica, anche le morti nel bacino del Mediterraneo dovute ai naufragi occorsi durante le traversate dal nord Africa alle coste europee, morti che, dal 1988 a oggi, ammontano a 18.535 persone (fonte Gabriele del Grande, giornalista, http://fortresseurope.blogspot.it/). E’ forse improprio parlare di guerre con riferimento a vicende che non coinvolgano le forze armate, rimane tuttavia la sensazione che gli amministratori di quest’organizzazione politica ed economica siano ben lungi dal meritarsi un qualsivoglia premio “per la pace” o per la promozione della stessa. Come dire, ce n’è ancora tanta di strada da fare.
Oltre a denunciare l’ipocrisia, come giustamente fai tu, credo sia anche necessario registrare la miseria del ragionamento attorno al tema della pace e del pacifismo: la decostruzione della realtà non può protrarsi secondo categorie di pensiero che ci portano a concludere che la pace si riduca all’assenza di conflitto bellico, oppure ad assumere quale riconciliazione l’assenza di scontri armati o politici tra diverse nazioni. Siamo pronti, credo, per qualcosa di più complesso. Parafrasando Vittorini mi viene da dire che forse saremmo pronti anche per nuovi doveri che evolvano il “non uccidere”, il “non rubare”, l’ “ama il prossimo tuo” e via dicendo. Pronti per raggiungere comprensioni meno lineari circa la convivenza degli uomini su di un territorio.
Ciao Lorenzo, come darti torto.
Forse improprio è il termine “guerra”, meno “conflitto”, nel caso del mediterraneo. L’Europa non è stata capace di gestire questo conflitto e i dati che fortresseurope è costretta ad aggiornare un giorno sì e l’altro anche, testimoniano il vuoto politico, l’inazione o incerti casi l’azione anti-umanitaria dell’Europa di fronte a questo problema.
Certo poi, come giustamente ancora tu osservi, la riduzione dicotomica pace/guerra alimenta un discorso che non porta da nessuna parte. Il risultato del perpetrarsi di tale discorso è l’assegnazione del Nobel all’Europa, il che non fa altro che ridurre e semplificare il contesto, ovvero gli ultimi sessant’anni di storia contemporanea europea, a simulacro (def. fig.: designa un’apparenza che non rinvia ad alcuna realtà sotto-giacente, e pretende di valere per quella stessa realtà) di pace. La complessità assume sfumature contrastanti poi se riferendoci a “risoluzione di conflitti” includiamo, non solo i rapporti diplomatici fra Francia/Germania, come si è più volte sentito dire in questi giorni, ma appunto anche il cimitero Mediterraneo, la Grecia, lo stato sociale, e chi più ne ha più ne metta.
I premi nobel per la pace a un organismo come la UE, a quattro presidenti degli Stati Uniti (http://www.internazionale.it/quattro-nobel-non-meritati/ di N. Chomsky), o ad Arafat fanno risaltare questa contraddizione ma allo stesso tempo, invece di stimolare un dibattito serio su pace e pacifismo, rischiano di schiacciare lo sguardo ad una prospettiva bidimensionale. Il rischio è appunto che questo venga letteralmente accecato dal bombardamento mediatico-celebrativo-acritico, con funzioni meramente politiche, di quello o quell’altro.
Molto d’accordo con quello che dite. È il concetto stesso di pace come assenza di un solo tipo di guerra che non sta in piedi. Ma, a monte, c’è un problema con l’istituzione stessa: che cosa vi aspettavate dall’inventore della dinamite?
Al di là delle chiacchiere, le commissioni che scelgono i vincitori rispondono a logiche che possiamo immaginare – specie per quegli ambiti più mediaticamente visibili (pace, economia) – davvero andrebbero studiati a fondo a più livelli: background culturale e di esperienze, composizione “di classe”, proveniente geo-politiche e così via..
Poi in casi come questi, lo stupore è tale da farti arrivare a pensare che ci sono davvero guerre di serie B. Simone si è limitato a ricordare l’eccezione più eclatante. Ma, come giustamente ricorda Lorenzo, ci sono altri buchi neri in questa storia, che li vogliamo chiamare guerra oppure no. Nel Mediterraneo li possiamo tranquillamente chiamare guerra di classe. Ma ce ne sono altri di esempi da fare. Come il controvertice di Genova con tanto di sanzione dall’altro come “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dalla fine della Seconda Guerra mondiale”. La sequenza via Tolemaide/p.zza Alimonda/Diaz/Bolzaneto, anche in termini di Pace/Guerra, parla chiaro.