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15 ottobre a Rio de Janeiro. Forse sta partendo qualcosa #ocupario

Il 15 ottobre a Rio de Janeiro piove. E si sa, i carioca se ne stanno chiusi in casa nei giorni di pioggia.

Premesse-esperienze politiche pre-15 ottobre. Il dipartimento di storia nel quale studio sforna parole quotidiane di lotta politica, tanta gente che partecipa attivamente e passa nelle aule, troppa che non sa come partecipare, come lottare, come protestare. Ho la fortuna di conoscere gente che conosce gente che appartiene ad un gruppo politico all’interno del mio dipartimento. Riesco a conoscere alcuni ragazzi di questo gruppo politico pochi giorni prima dello scontro finale con la Reitoria. Partecipo a qualche assemblea, pochi gatti non più di 15, si decidono 10 richieste da fare alla Reitoria, nell’eventualità di un rifiuto si decide di occupare in modo permanente la Reitoria sullo stile di altre università brasiliane e carioca. Peccato che a deciderlo siano 15 persone di Storia le altre minimo 285 che parteciperanno alla manifestazione chissà se la pensano uguale, chissà che idea avranno a riguardo, che tattica penseranno di utilizzare per pressionare la Reitoria. La rete affonda nelle acque della disorganizzazone. Nelle assemblee a cui partecipo rimango negativamente colpito dalla mancanza di consistenza di alcune entità politiche e dal non parlare o accennare agli argomenti: forme di lotta, coordinazione di lotte, creazione di reti. L’unica assemblea a cui partecipo con più di un gruppo politico si trasforma in un arena politica televisiva. Ognuno corre sulla sua strada, quella tristemente nota a tutti della peggior politica col paraocchi. Sembrano tutti volerla la lotta ma è svuotata “del sociale” per essere esasperata “nel politico”. Insomma lo scontro finale con la Reitoria si traduce in un sonoro 7 a 3 per la squadra che gioca in casa e nessuno che si era adoperato per dormire là tranne qualche ingenua straniera. The day after tante troppe parole, troppi appagati dalla sconfitta, ci si prepara alle elezioni del DCE (Diretório Central dos Estudantes da Universidade Federal de Rio de Janeiro).


Ma veniamo al fatidico 15 ottobre. Sono spaesato, giorni che tento di capire se si farà davvero qualcosa o no. Trovo almeno 3-4 orari diversi di incontro per la giornata. Il primo è ore 12.00 a Cinelândia, il secondo ore 20.00 a Copacabana, poi l’orario di Cinelândia cambia dalle 12.00 alle 16.00. Faccio una media e decido di recarmi là alle 14.30 senza grandi speranze. Appena arrivato vedo i visi noti del dipartimento di storia, col microfono comiziando, una bandiera sopra di loro. Penso che si son spostati dal cortile del dipartimento a qui. Penso che saranno sempre le stesse chiacchiere. E vabbuon. E invece dopo pochi minuti qualcuno si ribella a quella bandiera e a quel microfono monopolizzato. Chiede di parlare, gli viene risposto con tono brusco e poco cordiale: “compagno mettiti in fila e aspetta il tuo turno!” Se nonché qualcuno s’incazza, al di lá della bandiera ai più nella piazza non va proprio a genio l’egemonia del gruppetto politico, nel quale la maggioranza non si identificano. Qualcuno propone di spostarsi pochi metri più in là per non stare all’ombra di quella bandiera e poter parlare liberamente, i toni si alzano ma alla fine si quietano e la maggioranza delle persone sceglie di spostarsi pochi metri più in là. E qui inizia la roda di interventi che a tratti sembra roda di samba dal bel ritmo che i musicisti riescono a imporle. A turno uno in mezzo a dire la sua, piove ma la gente resta, l’asfalto si colora di messaggi e cartelloni. Si trova un modo creativo per amplificare il suono umanamente: il coro. Uno parla gli altri ripetono tutti assieme, il ritmo diventa cantilenato, a tratti sembra poesia, si penso siano artisti, siamo a Rio tutto è musica e danza. Penso che in Europa una cosa così l’avremmo liquidata in due secondi (“ma che cacata è questa? un po’ di serietà”) e invece qui si prendono tutti bene nella coralità, nessuno storce il naso, nessuno con la puzzetta sotto il naso. E cosa più importante il messaggio arriva, e arriva a tutti. La voce di quel singolo arriva per davvero e con tonalità differenti, intensità che mutano a seconda del grado di coralità dell’opinione esposta. Ci sono gli studenti, ci sono i precari, ci sono i veri abitanti della piazza quelli che la notte dormono li, c’è “o meu nome è Revolta”, c’è qualche mamma e qualche bambino, c’è AMAST (Associação de Moradores e Amigos de Santa Teresa), c’è radio sementeira che trasmette in streeming. Qualcuno giura di aver visto anche Žižek e Steve Workers aggirarsi per la piazza. Una signora lamenta che è una vergogna che in una città come Rio de Janeiro si sia così pochi a protestare, e si forse è una vergogna ma quei pochi stanno dando dimostrazione di grande tenacia e impegno. La pioggia non li ferma e gli interventi non sono alla cazzo, si ha rispetto del luogo, del confronto, del clima che si è creato. E allora che fare? Forme di lotta. Organizzazione. Dare vita a un moto permanente. Rincontrarsi, discutere, organizzarsi. Si decide per sabato 22 ottobre. Accampamento permanente nella piazza di Cinelândia. Ma non basta parlare bisogna pensare a come fare. Creare gruppi di lavoro, un coordinamento. La pioggia aumenta. Si deve cambiare luogo per discutere con calma all’asciutto. Si inizia a camminare fino ad un palazzo enorme con portici ci si siede li, dopo qualche nota del Bloco Livre Reciclato. Fa freddo nonostante la calda musica di latta. “Frio rima mas não combina com Rio” leggo su un muro. Dipende. Se sei in maglietta e maniche corte perché il giorno prima c’eran trenta gradi ed eri a d Ipanema a bruciarti la pella beh.. allora Rio combina anche con frio. Ci si divide in gruppi, GT (Grupos de Trabalho), c’è il gruppo “comunicazione”, c’è il gruppo “infrastrutture” e il gruppo “ecologia”. Dopo una breve parentesi nel gruppo infrastrutture passo a quello comunicazione. Per quanto riguarda il web ne viene fuori un profilo twitter, un blog e la proposta di creazione di una rete su una piattaforma come crabgrass-we.riseup.net. Le riflessioni contenutistiche più profonde sono rimandate a sabato 22 ottobre. Data del prossimo incontro. Purtroppo non ci sarò, ma scommetto sulla permanenza di questa esperienza di creazione sociale. Alla prossima, anche sotto la pioggia a Rio.

Seguire il consiglio di spleen è necessario:

Dare senso all’azione indivduale, in quato azione sociale, significa trovare strumenti che rendano sistematica questa pratica.

Posted in latinoamerica, segnalazioni, trova le differenze.

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3 Responses

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  1. spleen says

    Se continui a citarmi finirò per montarmi la testa.

    Mi commuove quello che dici della ‘poesia’ corale. Io, da schifoso europeo, ho storto davvero il naso quando ad Edimburgo s’è proposto di fare un “microfono umano” ed alcuni hanno iniziato a farlo… poi vabbè, il problema secondo me è che lì la totale assenza di organizzazione mi aveva reso cinico dell’evento in sé e quindi ero ormai messo male per prendere bene una cosa del genere.

    Sembra interessante quello che dici del gruppo. Proprio stamane m’era venuta voglia di tornare alle assemblee (sono ancora in acampada qui, St. Andrew Square), perché se c’è una cosa che qui sanno fare molto bene, è comunicare in modo simpatico. E proprio stamane, ad attendermi in Bristo Sq. c’era un cartellino quasi invisibile. «Revolution -> St. Andrew Sq.», recitava. Chissà.

  2. marabou says

    una pena non poter esserci stasera all’assemblea e domani all’acampada. mi piace come ci si sta muovendo, spero non ci si fermi. e poi la musica, quella viva, dal vivo, onnipresente. il rumore. il ritmo come comunicazione, come dici tu spesso simpatica. si per noi “simpatica” per loro “naturale” questa simpatia. “Tragam barulho” ho letto qualche settimana fa su un volantino del Bloco Livre Reciclato e ho sorriso. può essere tradotto con “portate casino” o “portate rumore” ma la traduzione non rende. è come se questo movimento assorbisse le specificità della città, o meglio esperisse quello di cui si nutre questa città, quello di cui ogni individualità si nutre quotidianamente qui. Tutti sanno suonare uno strumento, tutti sanno danzare il samba. lo “straniamento iniziale europeo” credo sia dovuto a una difficoltà nel familiarizzare quel mezzo di comunicazione, assolutamente naturale invece per chi è del posto. mi è venuta in mente quella discussione a Vicolo Bolognetti sull’arte contemporanea ricordi? è la difficoltà nel familiarizzare l’oggetto, la mancanza di quei codici nel nostro passato e presente vissuto, la difficoltà di capire quella complessità e interiorizzarla.