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Yoani Sanchez in Italia, una scusa per parlare di Cuba

Yoani Sanchez a 7 anni (1982)

Yoani Sanchez a 7 anni (1982)

Pubblicato su Carmilla il 10 maggio 2013

Ce l’ha fatta. È riuscita a uscire dal suo paese. Raul Castro ha aperto le frontiere e finalmente se n’è volata via. In meno di tre mesi è già atterrata in ben sette paesi tra Europa e America Latina: sono caduti uno dopo l’altro il Brasile, la Repubblica Ceca, la Svizzera, gli Stati Uniti, il Perù e la Spagna, ora è toccata all’Italia. Agli occhi del mondo occidentale Yoani Sanchez rappresenta indiscutibilmente l’eroina democratica di Cuba. La ragazza dalla faccia pulita ma anche sbattuta e smagrita – forse proprio a causa delle condizioni di povertà che il suo paese gli impone – lotta quotidianamente contro un regime considerato da lei e dalla maggioranza dei paesi occidentali una dittatura. La blogger in pochi anni ha conquistato l’etere grazie alla potenza di internet e a uno dei trend topic più celebrati dal mondo capitalista dominato dai mercati: se lavori, se lotti con tutte le tue forze per una giusta causa – o nel suo caso per il bene del tuo popolo –, beh.. allora puoi farti da solo, emergere dall’oblio e occupare un posto di prestigio nel ranking dei media mondiali. Lei, Yoani, la cubana dalla faccia pulita e dal dito inverosimilmente svelto, ce l’ha fatta.

Sembra che in Italia crediamo ancora a queste storie o per lo meno è quello che traspare leggendo le maggiori testate nazionali. Il pretesto per rinnovare la fiducia nel sogno americano del self-made man ma al passo coi tempi (non a caso Yoani è una self-made-woman) è dato dalla sua prima visita italiana correlata di partecipazione al Festival Internazionale di Giornalismo di Perugia. Leonardo Mala sforna questo articolo per La Repubblica, Anna Masera intavola questo pezzo per La Stampa e la redazione online del Corriere della Sera ci offre la sua opinione per dessert. Ingrediente del giorno è la contestazione rivolta a Yoani Sanchez da alcuni manifestanti poco prima del suo intervento. Le prime battute degli articoli sono sommarie, la parola filo-castristi rieccheggia minacciosa e non lascia scampo al lettore. La realtà viene immediatamente semplificata e i suoi attori cristallizzati in buoni e cattivi, santi e mostri: da una parte Yoani (dalla faccia pulita) e la democrazia, dall’altra Castro (indiscriminatamente Fidel o Raul) e la violazione dei diritti umani (assorbiti in toto dalla demonizzazione del partito unico). Il risultato è netto, senza resti, contraddizioni o ripensamenti: se contesti o critichi Yoani sei automaticamente un nemico della democrazia e per di più vieni tacciato di «filo-castrismo» che tu lo voglia o meno. Il bianco e nero delle prese di posizioni senza sfumature arriva poi inesorabile: Yoani «per il governo di Cuba è una mercenaria al soldo degli imperialisti americani» ma «per il mondo libero è il simbolo della lotta per i diritti umani» (La Stampa). La barriera è eretta.

Yoani Sanchez contestata (São Paulo, Brasile, 21 febbraio 2013)

Yoani Sanchez contestata
(São Paulo, Brasile, 21 febbraio 2013)

Mi chiedo dubbioso a quale mondo ci si stia riferendo. Mi domando poi perché quando si parla di diritti umani a Cuba si porti sempre ad esempio il carattere non-democratico del regime castrista e le limitazioni politiche che impone la presenza di un solo partito. Non vorrei essere frainteso, le critiche sono necessarie, ma per quale motivo si parla solamente dei diritti umani negati a Cuba e non dei diritti umani garantiti. La risposta è semplice: non possiamo nemmeno immaginare che un paese povero e sottosviluppato possa darci lezioni di diritti umani. Non lo possiamo tollerare. Neppure ci pensiamo alla possibilità che in qualcosa siano migliori di noi. Se guardiamo a Cuba, quei diritti che noi pensiamo essere per scontati nel nostro paese, in realtà vediamo che non lo sono. Penso soprattutto all’istruzione e alla sanità ma anche a un tema tanto caro al pensiero destrorso e razzista italiano, che qui viene totalmente risemantizzato, ovvero la sicurezza.

Il regime non-democratico cubano infatti garantisce istruzione totalmente gratuita (compresi dottorato e post-dottorato) e assistenza sanitaria gratuita per tutta la vita. Chi ha viaggiato in America Latina sa che di bambini per le strade se ne vedono a fiumi e non giocano a pallone ma vengono sfruttati per lavori di ogni genere o lasciati al loro destino di senza fissa dimora. A Cuba gli stessi bambini che altrove vagano per le strade sono tutti a scuola e posseggono una casa, come chiunque. La percentuale di persone che vive per la strada a Cuba è vertiginosamente inferiore a quella di qualsiasi città europea ed il confronto con altre realtà latinoamericane risulta imbarazzante. A Cuba nessuno muore di fame e la carne di porco o pollo la mangiano tutti i giorni (checché ne dica Yoani: «non riuscivo a vivere altrove. Ogni volta che mangiavo un piatto di carne pensavo alle privazioni dei miei concittadini, alla loro difficoltà di vivere che è la mia di ogni giorno. Io voglio essere utile al mio Paese e alla mia gente» Repubblica), il che – se si analizzano le motivazioni profonde che innalzano il consumo di carne e uova a Cuba – non è una cosa positiva in sé perché porta a una dieta squilibrata imposta dal criminale embargo economico (che viola e ignora qualsiasi supposto diritto umano) e dalle scarse risorse produttive dell’isola.

Mi domando poi se Yoani, durante il suo recente viaggio in Brasile, ha vissuto le strade di Salvador de Bahia al calar della notte. Se ha visto l’esercito di fantasmi che vagano e dormono per la strada, se ha provato sulla sua pelle l’insicurezza del cammino, la necessità di prendere precauzioni se si vuole condividere quel pezzo di cielo nero con loro. Per le strade di Cuba è davvero difficile trovarsi in una situazione di paura mentre a Rio de Janeiro non è consentito distrarsi, né imboccare una strada secondaria poco illuminata, né passeggiare liberamente nel quartiere Centro dopo le sette di sera. L’esercito di fantasmi della storia sarà lì ad aspettarti più incazzato e disperato che mai, pronto a riprendersi quel briciolo di giustizia sociale che quel mondo gli nega.

Per queste ragioni in molti pensano che la società meno ingiusta di tutta l’America Latina sia quella cubana, ed è per la stessa ragione che molti guardano con grande sospetto all’eccitazione collettiva che segue la crescita esponenziale del PIL brasiliano. La giustizia sociale vale più del Prodotto Interno Lordo.

José Maria Aznar riceve Yoani Sanchez presso la FAES (Fundación para el Análisis y los Estudios Sociales) di cui è presidente. (Madrid, 23 aprile 2013)

José Maria Aznar riceve Yoani Sanchez presso la FAES (Fundación para el Análisis y los Estudios Sociales) di cui è presidente. (Madrid, 23 aprile 2013)

Ma torniamo un momento in Italia.

Sanità: è di pochi giorni fa la notizia che gli italiani a causa della crisi hanno ridotto drasticamente visite specialistiche e controlli medici. Molti non riescono più neppure a pagare il ticket per garantirsi le cure, sono così letteralmente esclusi dal sistema sanitario italiano e costretti a rivolgersi a organizzazioni no-profit come Emergency. Istruzione: non bisogna andare troppo lontano, basta parlare con qualche maestra partenopea che insegna nei quartieri più disagiati per scoprire che la sua vittoria più grande non è portare avanti il programma ma far sì che gli alunni si presentino in classe e non restino per le strade.

Quando si alza il tiro e la soglia di complessità si eleva il concetto semplificato di diritti umani assume forme diverse e meno retoriche mettendo radicalmente in crisi i confini del mondo libero di cui abbiamo la convinzione e l’orgoglio di far parte. Inutile ripararsi dietro sterili giustificazioni, nascondersi dietro la Crisi: «noi siamo i ricchi, loro i poveri. Noi chiudiamo gli asili, loro li costruiscono, noi li facciamo pagare, loro no, come cazzo è possibile?!» Noi ci vantiamo della nostra democrazia, loro hanno il partito unico. Da noi la Crisi è cominciata nel 2008, da loro nel 1959. Dovrebbe essere più facile per noi. Perché non è così?

Fa sorridere poi l’infelice scelta del giornalista di Repubblica di riportare le parole di Yoani Sanchez in riferimento a Raul Castro: «il suo è un peccato originale. Raul non è stato eletto, ha ereditato il potere per questioni di sangue, qualcosa di inimmaginabile nel terzo millennio». Esattamente, qualcosa di inimmaginabile, tanto meno in un mondo libero e democratico. Eppure. Eppure succede anche qui. Un anno e mezzo fa Mario Monti è diventato capo del governo italiano senza che nessuno, o meglio soltanto uno, lo avesse eletto. La successione non è stata democratica e si può in buona misura parlare anche qui di successione di sangue: sangue moderato e con globuli compiacenti Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale. Pochi giorni fa Enrico Letta è stato nominato ancora da quello stesso uno che aveva eletto Mario Monti nuovo capo del governo, ancora senza libere elezioni, ancora non democraticamente.

Yoani Sanchez e il suo passaporto

Yoani Sanchez e il suo passaporto

I loro problemi sono i nostri. Possiamo fare finta di niente e non ammetterlo ma le contraddizioni di Cuba – se analizzate, ripensate e criticate – non fanno che radicalizzare le contraddizioni del nostro mondo. Quel mondo che ci ostiniamo a definire giusto, libero e democratico. Lo stesso che sta crollando pezzo dopo pezzo sotto i colpi dei mercati e che continua a nutrirsi diseguaglianza sociale. Quel mondo che Yoani Sanchez difende. Ma davvero pensiamo che quel mondo sia il meno peggiore dei mondi possibili? Siamo davvero così stolti?

Posted in contronarrazioni, latinoamerica.

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2 Responses

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  1. Mauro says

    Bravo, caraca!

  2. marabou says

    Saudade do Mauro Cadove!