Skip to content


Rio de Janeiro, la scala e il cileno

Per andare da Santa Teresa a Largo de São Francisco de Paula percorrevo quasi ogni mattina la stessa strada, scendevo per la ripida e appietrata Ladeira do Castro per ritrovarmi davanti all’enorme Mundial, il supermercato più barato di Rio de Janeiro. Poi m’immergevo nel fritto dei salgados di Lapa e nelle polveri dei lavori perennemente in corso del Centro e finalmente raggiungevo la piazza della facoltà.

Avevo un legame particolare soprattutto con la prima parte del mio cammino mattutino e l’ultima del mio ritorno a casa, quella ladeira inerpicata dove sfrecciavano moto-taxi e sacchi della spesa. Ero addirittura arrivato ad eleggerla via più sicura per tornare a casa la sera. Ogni abitante di Santa Teresa ne ha una, la mia era quella. Ma l’eccesso di sicurezza non mi è mai piaciuto, puzza troppo di vittoria, e così è cominciata l’esplorazione delle altre salite e discese del bairro. Un giorno da Largo de Guimaraes ho preso in direzione Largo do Curvelo, per poi proseguire dritto e buttarmi sulla sinistra nella ripidissima Ladeira de Santa Teresa. Qualche passo in verticale tra casette coloniali e maggiolini wolkswagen e lo sguardo mi è caduto sulla destra, incastrandosi tra i gradini di una scala. La scala del cileno dai folti baffi.

La scala e il cileno, 6 febbraio 2012

La scala e il cileno, 6 febbraio 2012

Da lì, è necessario scendere ancora per poter ammirare il suo lavoro: migliaia di piastrelle, azulejos dipinti a mano e tanta calce. Più si scende e più voltarsi significa tuffarsi nel colore. Il rosso, il preferito del cileno, fa da letto al fiume di piastrelle che scorre dentro i suoi argini, mentre i gradini scompaiono sommersi dall’ondata variopinta. Gli azulejos provengono da ogni dove, non si contano i paesi. Fu il cileno a portare i primi ma con il tempo artisti, appassionati e turisti hanno cominciato a contribuire all’opera, inviandoglieli o consegnandoglieli di persona. Raramente il postino o il visitatore era costretto a bussare alla porta della sua casa-atellier, situata all’incirca a metà della scala. Era più facile trovarlo sulle scale intento a cazzuolare un nuova tessera del suo puzzle di azulejos, a rifinire a martellate una mattonella rossa in tinta con i suoi pantaloncini e il suo berretto, o ancora a dipingere uno dei suoi quadri raffiguranti donne negre incinta.

Per oltre vent’anni infatti quel curioso cileno dai folti baffi, non si è limitato a creare un’opera divenuta icona di una delle più affascinanti città del mondo, ma ha continuato a dipingere donne negre gravide senza mai fermarsi. Glielo domandavano tutti il perché della sua ossessione per quel soggetto, diventato credo artistico, ma la risposta, avvolta da un alone di mistero e di leggenda, arrivava sempre uguale al mittente: «si tratta di un problema personale». A conferma di queste sue dichiarazioni, osservando i suoi quadri, non è inusuale vedere il suo faccione baffuto capeggiare sul corpo di una donna negra, ovviamente gravida e con i seni sporgenti.

Particolare della scala

Particolare della scala

Ogni volta che vedevo, ai piedi della scala, quell’enorme “BRASIL EU TE AMO SELARON” impresso con azulejos bianchi su sfondo rosso, non smettevo di pensare che quel cileno era troppo egocentrico per i miei gusti, e allo stesso tempo troppo poco ribelle. Non si scomponeva ad affermare: «io sono il genio che ha fatto la scala più fantastica della storia dell’umanità!» Ed era felice che la sua creazione fosse stata scelta tra i simboli che avrebbero rappresentato Rio de Janeiro ai Mondiali di calcio del 2014, manifestazione che insieme all’Olimpiade del 2016 con ogni probabilità cambierà per sempre il volto di Rio de Janeiro e che ha già provocato, e continua a farlo, ingenti danni alla popolazione più povera della metropoli.

Non mi sono mai piaciuti i geni, ma la scala è realmente fantastica. E il grande merito va proprio a quel cileno che ha sempre considerato la sua opera incompleta e in continuo divenire, un sogno a cui ha dedicato la vita e che affermava sarebbe finito solamente con la sua morte.

È di ieri la notizia. È stato trovato senza vita nella sua casa-atelier sulla scala. Si chiamava Jorge Selaron, era nato 65 anni fa a Limache, nella regione di Valparaíso. Forse l’hanno ammazzato, forse s’è suicidato. Che abbia deciso lui o meno il risveglio dal sogno poco cambia. Il mio augurio per il cileno dai folti baffi è in queste parole.

Posted in latinoamerica.

Tagged with , , , , , .