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Terremoto: l’Emilia meglio dell’Abruzzo

Pubblicato su IlSudest il 19 ottobre 2012.

Ci risiamo.

Al sud non si lavora, fa troppo caldo, mica avevano torto schiere di illuministi francesi. Loro sì che ci avevano avvertito, guardate che dove fa troppo caldo le membra si abituano a quel clima e non riescono – non possono – essere propense al lavoro, è per questo che i popoli del sud sono sfaticati. Mica colpa loro: è il clima che li frega.

Guido Bertolaso e Franco Gabrielli

Sono forti e gentili gli abruzzesi, lo sono per natura. E purtroppo, per natura, sono pure pigri. Non c’hanno voglia di lavorare. Ed è per questo che L’Aquila respira ancora la polvere delle macerie. Guardateli un po’ quegli emiliani invece, orgoglio italico, forti e gentili sì, ma loro si spaccano pure la schiena. Guardate come ricostruiscono la loro terra, come collaborano con le autorità. Mica come loro, gli abruzzesi, che negli alberghi della costa se la son goduta – e pure a sbaffo. Ci mancava poco che rimanessero là, serviti e riveriti. Per non parlare di quei comitati di sovversivi che si annidano tra i calcinacci de L’Aquila e scavalcano la zona rossa.

Eppure L’Aquila è considerata una delle città più fredde d’Italia, la minima d’inverno tocca i meno dieci gradi. E allora no, non è il clima, è che proprio son terroni, non c’è niente da fare. Certo nell’etimologia del termine, il terrone doveva essere un gran lavoratore, spaccarsi la schiena con la zappa a piantare patate e carote, che quelle anche se fa freddo vengon su e costan poco. Ma il Nord gli ha cambiato significato. Nella città del Nord in cui vivo, dove tutti hanno almeno un nonno del sud, il terrone oggi è il tamarro, lo sbruffone, il ragazzo possessivo, l’albanese. Ma il riferimento continua a non slegarsi dal Meridione, d’altronde è appurato che il tamarro, lo sbruffone, il ragazzo possessivo, sono caratteristiche più del sud che del nord.

Le parole del capo della Protezione Civile Franco Gabrielli non lasciano dubbi, alcune comunità si rimboccano le maniche altre no, è una questione quasi biologica, che interessa lo spirito dei popoli: «Io ho visto un territorio, quello emiliano, molto molto diverso da quella che è stata la mia esperienza aquilana. È sempre molto facile ascrivere ad altri e a qualcuno che sta al di fuori le responsabilità. C’è anche un attivismo, una determinazione, una voglia di fare, che molto spesso è insito nelle stesse comunità. La differenza, dal Belice a L’Aquila, non l’ha fatta la quantità di denaro (n.d.a. destinata agli aiuti), ma la capacità di progettualità di ogni singolo territorio. Gli emiliani hanno reagito sicuramente meglio rispetto agli aquilani».

Regno delle due Sicilie

La progettualità e l’attivismo insito che pervade le genti del nord contro l’apatia e la flaccidia che caratterizzano le genti del sud. È una favola ripetuta troppe volte uguale per crederci ancora. Ma Gabrielli, nonostante le nefandezze di cui si è macchiata la Protezione Civile a L’Aquila, continua a tirarla fuori. Perché non racconta della Commissione «Grandi Rischi», inviata in Abruzzo prima del terremoto dal salvatore della patria in persona Guido Bertolaso, e definita dallo stesso un’operazione mediatica per smorzare i toni, tranquillizzare la popolazione, «zittire qualsiasi imbecille, placare illazioni, preoccupazioni». Perché non dice che quei vertici, compreso Bertolaso, sono stati accusati di omicidio colposo plurimo e lesioni, per negligenza e imperizia nei giorni precedenti al terremoto. Perché invece che minimizzare sui fondi destinati agli aiuti non parla delle infiltrazioni mafiose e delle speculazioni avvenute durante la ricostruzione. Forse ha dimenticato che proprio lui, tra gli altri, avrebbe dovuto vigilare, in quanto prefetto de L’Aquila nominato dal Consiglio dei Ministri.

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