Pubblicato su IlSudEst il 27 ottobre 2012.
Sono passati pochi giorni dal becero determinismo geografico del Capo della Protezione Civile Franco Gabrielli – trattato qui la settimana scorsa. Ci eravamo chiesti perché Gabrielli non parlasse della Commissione Grandi Rischi e delle sue ombre, invece di accusare gli aquilani. La risposta è arrivata, repentina, direttamente dal Tribunale de L’Aquila; il quale ha emesso una sentenza di condanna a sei anni di reclusione per i membri della Commissione.
In questi giorni, la stampa e i media mainstream, non parlano d’altro che di processo alla scienza, tirando strumentalmente in ballo il simbolo-martire Galileo Galilei; alcuni si sono spinti oltre e hanno addirittura scomodato Giordano Bruno. È bene sottolineare che la condanna non è stata inflitta poiché i membri della commissione mancavano delle doti di onniscenza e preveggenza, ma per negligenza nel loro lavoro. Dunque non contro la scienza, ma contro uomini che sono venuti meno a loro precisi doveri.
L’attenzione è totalmente dirottata su questi temi, omettendo le radici di natura politica del problema, e tralasciando le ambiguità che interessano l’operato della Commissione. Lo studioso statunitense David Ropeik, in un bell’articolo pubblicato sulla rivista specialistica «Scientific American», individua una di queste ambiguità, sostenendo che la sentenza de L’Aquila non rappresenta una condanna contro la scienza, ma contro il fallimento della comunicazione scientifica. E sottolineando come uno dei capi di accusa nei confronti degli scienziati, sia aver fornito «informazioni inesatte, incomplete e contraddittorie» sul fenomeno sismico.
Ma facciamo un passo indietro, e riprendiamo il tormentone del momento: Galileo. Questa volta però da una prospettiva ribaltata, prendendo a prestito le parole del filosofo svizzero Paul Feyerabend, allievo ribelle di Karl Popper:
la Chiesa dell’epoca di Galilei si attenne alla ragione più che lo stesso Galilei, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galilei fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione.
Secondo Feyerabend Galileo non poteva dimostrare che la terra ruotasse intorno al sole, poiché non aveva gli strumenti, né le prove scientifiche, per dimostrare le sue tesi; la sua fu un’intuizione geniale, ma senza riscontri oggettivi. In virtù di ciò, Feyerabend comprende la decisione del clero, che portò alla condanna di Galileo.
Se si accetta questa tesi, allora sì che i tecnici della Commissione Grandi Rischi possono essere associati alla figura di Galileo. Il grande scienziato non poteva dimostrare la teoria eliocentrica, e questi non potevano prevedere che si verificasse un sisma di tale intensità. Ma se è vero che non si può prevedere un terremoto – per mancanza di conoscenza scientifica – è anche vero che non si può prevedere un non-terremoto – per la stessa ragione. Il problema dell’operato della Commissione Grandi Rischi a L’Aquila sta nella negligenza con la quale è stata affrontata la situazione. Nel tentativo di persuadere la popolazione che i rischi non c’erano. Nelle rassicurazioni date alla popolazione, nonostante non si possedessero gli strumenti per avvallarle.
Un altro aspetto da chiarire sono poi le imputazioni. L’accusa non è per non aver previsto il terremoto. Ma per la mancanza di trasparenza e onestà degli scienziati nei confronti della cittadinanza; per il loro cedere a pressioni politiche – esercitate dall’allora Capo della Protezione Civile Guido Bertolaso -, che dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, la struttura verticale dell’organizzazione; e infine per aver offerto la facciaa un’operazione mediatica di natura politica.